Il diritto della crisi di impresa: Obiettivi e funzione

La continua evoluzione della dinamiche sociali incide inevitabilmente nei rapporti fra i diversi soggetti che formano la società. Le ripercussioni di tali mutazioni interesseranno anche il diritto, quale insieme di norme e principi che regolano la vita dei membri della comunità. Le regole che sovraintendono i rapporti economici fra gli individui hanno, da sempre, rappresentato uno degli aspetti principali del diritto.
Per la regolazione dei rapporti nello scambio mercantile il diritto comune è stato via via sostituito da norme di settore che ne hanno determinato la specialità.

La necessità di derogare ai rigidi principi del diritto comune fu avvertita già nel Medioevo, all’età dei Comuni, con la nascita delleCorporazioni di arti e mestieri ed il delinearsi di caratteristiche peculiari della classe mercante. Sempre più, infatti, i mercanti scambiavano beni e servizi, anziché consumarli, prendevano a prestito beni e mezzi, anziché utilizzare quelli di proprietà e mettevano in atto operazioni economiche di entità rilevante. Per questo nacque un diritto speciale, dedicato ai rapporti giuridici che coinvolgevano il mercante (l’attuale imprenditore): il diritto commerciale.

La necessità di creare norme che regolassero le vicende scaturenti da patologie dei rapporti commerciali fu conclamata all’interno di un diritto di specie che potesse governare le dinamiche giuridiche a ciò conseguenti.
Nello svolgimento della sua attività l’imprenditore si rivolge ad una platea di creditori numerosa e differenziata: al manifestarsi dell’insolvenza ogni creditore, consapevole del rischio di perdere il proprio credito, subisce l’impulso di azionare le norme giuridiche per agire sul patrimonio del debitore. Quando le passività superano le attività, i creditori tendono a sprecare risorse nel tentativo di appropriarsi dei primi “pezzi” del patrimonio del debitore, con effetti pregiudizievoli sull’unità aziendale.

Quando il debitore diviene insolvente i creditori innescano un“gioco a somma zero”: ciò che guadagna un creditore è necessariamente perso da un altro. In situazioni simili le norme sono asimmetriche, vale a dire regolano relazioni in cui i soggetti hanno differenti probabilità di ricoprire i vari ruoli. Norme che danno più spazio all’autotutela dei creditori penalizzano quelli con meno probabilità di autotutelarsi.

Pertanto è interesse dei creditori come gruppo, in caso di insolvenza, che la liquidazione dell’impresa avvenga in modo ordinato, attraverso una procedura collettiva che coordini le rivendicazioni e salvaguardi i valori aziendali, anche mediante la prosecuzione dell’attività economica, impedendo ai singoli di disgregare l’azienda.
La cessazione dell’attività d’impresa o la sua disgregazione comportano la dispersione dell’avviamento, il quale non può formare oggetto di rapporti giuridici a sé stanti, e annulla il carattere olistico di quel sistema complesso che è l’azienda.

In passato gli interessi relativi alla sopravvivenza dell’impresa erano considerati contrastanti con la tutela dei creditori; oggi tale impostazione è superata, sulla scorta dell’osservazione che spesso il valore massimo si ottiene salvaguardando l’unitarietà aziendale. Il sacrificio dei singoli creditori è compensato con il beneficio per l’intera categoria di appartenenza. I partecipanti ad una procedura d’insolvenza dovrebbero quindi avere l’incentivo ad ottenere il massimo valore dagli assets aziendali, in modo che sia facilitata la miglior distribuzione per i creditori come gruppo e che l’insolvenza non si aggravi.

Il diritto delle crisi d’impresa fa parte del diritto fallimentare. Il diritto fallimentare comprende il diritto delle crisi d’impresa, in cui la parola chiave è proprio “crisi”, la quale può essere definita come una crisi a livello giuridico, una situazione patologica in cui non viene raggiunto il risultato che era stato posto.
Si può trattare di una crisi patrimoniale e/o finanziaria in cui vige uno squilibrio patrimoniale e/o finanziario. A volte tali squilibri sono presenti entrambi, ossia il patrimonio netto è negativo con in più una mancanza di cassa (carenza di liquidità).

Altre volte può accadere che il patrimonio netto risulti essere positivo, ma, per effetto di una cospicua consistenza del patrimonio immobiliare, la scarsità di liquidità impedisce comunque all’impresa di poter assolvere alle obbligazioni in scadenza quali, per esempio, il pagamento dei fornitori. In altri casi è possibile che la causa della crisi sia generata da fattori esogeni all’impresa, che nulla hanno a che fare con le ipotesi prima accennate (patrimoniale e finanziaria). Un esempio classico potrà essere quello della introduzione di pesanti dazi dogali con la conseguente chiusura dell’unico mercato disponibile.
Indipendentemente dalle cause che hanno generato la crisi dell’impresa, questo “diritto” mira a tutelale il diritto dei creditori.

Occorre porre attenzione alle modalità con cui tale tutela può realizzarsi e anche ai limiti stabiliti dalla legge per la realizzazione di tale tutela.
Per quanto riguarda le modalità, esse sono determinate dal generale modello di economia di mercato, che caratterizza il nostro ordinamento. La tutela dei creditori può realizzarsi soltanto secondo la modalità della relazione di mercato. Come la concessione di avviare rapporti economico-commerciali e di concedere credito può determinare l’avvio della stabile attività di una impresa, così le contrarie decisioni possono determinare l’uscita dell’impresa dal mercato e la cessazione dell’attività.

Pertanto, la tutela dei diritti dei creditori è ampiamente rimessa alle decisioni dei creditori sull’impresa in crisi. Come i creditori possono decidere di continuare a finanziare l’attività in vista del superamento della crisi, così possono determinarsi a richiedere il pagamento del credito e, in mancanza, la dichiarazione di fallimento della impresa. A tal punto, realizzatasi l’espulsione dell’impresa dal mercato, i creditori potranno far valere i propri diritti nell’ambito della procedura di fallimento.

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