La prevenzione delle crisi di liquidità

In molti casi, accade che le buone prospettive del mercato inducano l’azienda a crescere troppo in fretta, con la conseguente e pericolosa riduzione delle riserve di tesoreria.

L’esperienza mostra come le crisi di liquidità siano frequentissime e spesso conducano l’azienda verso l’insolvenza ed il dissesto. È possibile, tuttavia,

utilizzare accuratamente i dati di bilancio, prevenire e, quindi, evitare queste pericolosissime strette di liquidità.

La premessa di questa impostazione è la considerazione che la crescita e la liquidità sono due fenomeni contrapposti: un aumento della crescita significa una minor liquidità, e viceversa.

Le variazioni del rapporto fra le due variabili si possono rappresentare attraverso la cosidetta curva operativa.

Ai fini della costruzione della curva operativa, la variazione più significativa è la trasformazione delle scorte da attività finanziaria corrente in variabile di crescita. Con questa modifica, le variabili della crescita sono:

1. i beni patrimoniali;

2. gli impianti e le attrezzature (patrimonio netto);

3. le scorte;

4. le altre attività a lungo termine.

Se aumenta il totale rappresentato dalle variabili suddette, di solito le vendite e gli utili crescono. Se il totale diminuisce, le vendite e gli utili dovrebbero ridursi.

Seguendo tale impostazione, la redditività è la variazione annuale degli utili non distribuiti divisa per le vendite.

A differenza dell’utile netto (che non tiene conto dei dividendi), gli utili non distribuiti sono il dato su cui l’azienda deve realmente lavorare. Utilizzando questa definizione di redditività, si possono collegare gli utili con il tasso di crescita degli investimenti in attività fisiche.

Comunemente, la liquidità viene concepita in termini di capitale circolante, ma in questo contesto è data dal capitale circolante diminuito delle scorte e dell’indebitamento a lungo termine del capitale sociale. La cifra rimanente si può definire come liquidità operativa.

A questo punto, occorre stabilire il cambiamento delle variabili della liquidità operativa e della crescita di anno in anno. Si dividono, pertanto, queste variazioni annuali per la cifra delle vendite relativa all’anno più recente.

Le cifre percentuali così ottenute vanno riportate su un grafico, ponendo il rapporto capitale/vendite sull’asse orizzontale e il rapporto liquidità relativa/vendite su quello verticale.

Tracciando poi una retta di regressione con il sistema dei minimi quadrati, si ricava la curva operativa, riportata in figura, dove abbiamo evidenziato i punti di equilibrio operativo e la zona di gap operativo.

Il punto di equilibrio operativo è il punto in cui la curva operativa è pari a 0 lungo l’asse della liquidità; esso rappresenta il massimo tasso di crescita che si può ottenere con il finanziamento interno. A sinistra di questo punto lungo l’asse, non dovrebbe essere necessario ricorrere ad alcun finanziamento a lungo termine.

Il gap operativo è la differenza tra lo zero lungo l’asse della liquidità e la posizione attuale di un’azienda sulla curva operativa. Se tale posizione si trova al di sotto del punto di equilibrio operativo, l’azienda dovrà colmare il divario con il finanziamento esterno a lungo termine.

Una gestione attenta ed efficace da parte del management aziendale fa sì che i cambiamenti annuali delle variabili di crescita e di liquidità cadano in prossimità della curva operativa.

Quando, infatti, con tassi di sviluppo elevati, i dati di crescita e di liquidità del momento indicano un punto molto al di sotto della curva operativa stabilita, diventa facile prevedere i segnali di crisi.

Con le definizioni più comuni di liquidità, che tendono a offuscare la vera condizione del cash flow, i dirigenti troverebbero difficile, per non dire impossibile, riuscire a prevedere possibili criticità.

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