La prevenzione nella fase di declino della domanda

Il declino di un settore

Il rapido cambiamento tecnologico costringe un numero crescente d’imprese a gestire la fase finale della loro attività, causata da un calo della domanda dei prodotti.

Questa situazione può essere paragonata al finale di una partita a scacchi, dove un giocatore deve fronteggiare la perdita di numerosi pezzi disponibili sulla scacchiera.

Il “finale di partita” va affrontato in modo da non pregiudicare l’integrità economico-finanziaria del sistema aziendale.

L’interpretazione della domanda gioca un ruolo fondamentale nel finale di partita: se i dirigenti fossero convinti che la domanda tornerebbe a crescere, tenterebbero probabilmente di conservare le posizioni. In caso contrario, sarebbero più disposti a ridurre progressivamente la capacità produttiva.
La percezione della possibilità di declino è influenzata dalla posizione dell’azienda all’interno del suo settore: più importante è il suo ruolo, più alte sono le barriere che ne ostacolano l’uscita.

Un altro aspetto importante è la velocità, con cui il settore sprofonda. Quando la domanda di un prodotto unico nel suo genere è minacciata dalla comparsa di un valido surrogato, può accadere che i principali produttori, sentendosi minacciati, decidono di ritirarsi dal mercato.

Questa mossa può insospettire i clienti fidelizzati, che cominciano a dubitare della futura disponibilità del prodotto.

La conseguenza è che la domanda cala ancor più bruscamente, in seguito alla diminuzione della fiducia della clientela. Se una società, infatti, annuncia troppo precocemente l’abbandono di una produzione, può accelerare il proprio declino.

Nelle fasi di caduta, possono anche crearsi delle sacche di resistenza della domanda: un prodotto in declino resiste nelle sue versioni più performanti o più convenienti.

Se per i concorrenti che rimangono in lizza la sacca di resistenza ha una struttura favorevole, il declino può essere redditizio. La clientela molto fidelizzata, infatti, è insensibile al prezzo e ai prodotti alternativi: ne consegue che le aziende che offrono prodotti di qualità superiore ottengono dei rendimenti al di sopra della media anche in un settore in declino.

Le barriere che impediscono l’uscita da un settore
Nei settori caratterizzati da un calo della domanda, esistono delle barriere all’uscita, che vincolano la società anche quando la sua redditività sta scemando.
Le barriere possono verificarsi nei seguenti casi:

determinate attività sono così strettamente dipendenti dal tipo di azienda e dai suoi processi, che è difficile cederle o liquidarle;

qualora vi fosse un gruppo di produzione, l’uscita dell’azienda potrebbe rovinare le relazioni con i clienti e con i canali di distribuzione fondamentali;

l’uscita dal settore potrebbe ridurre la credibilità finanziaria della società e diminuirne l’attrattiva per i possibili acquirenti;

quando alcune società sono integrate verticalmente, la loro interdipendenza può rappresentare una barriera all’uscita;

l’uscita può comportare alti costi (trattamento di fine rapporto con la manodopera, smantellamento delle strutture, penalità da pagare per la rottura di contratti a lungo periodo, etc.);

l’atteggiamento psicologico dei dirigenti costituisce una forte barriera all’uscita: il timore del giudizio degli altri, l’attaccamento all’impresa, i dubbi sul futuro professionale, etc.;

le istituzioni e l’opinione pubblica potrebbe creare resistenze per il timore dell’aumento della disoccupazione.

Strategie per il finale di partita

Può sembrare un paradosso, ma è possibile trarre consistenti vantaggi da un contesto caratterizzato da crisi della domanda.

Il problema principale è quello di percepire in anticipo l’andamento declinante di un settore con opportuni strumenti di pianificazione, ad esempio l’analisi di scenario. L’azienda dovrà programmare non solo le strategie possibili, ma anche il momento in cui rendere operativa la decisione.

Le strategie vincenti in questi frangenti sono:

1. la strategia di leadership;

2. la strategia di nicchia;

3. la strategia di raccolto;

4. la strategia di disinvestimento veloce.

Un’azienda che adottasse la strategia della leadership della quota di mercato tenterebbe di assicurarsi una redditività superiore alla media, diventando una delle poche aziende che rimangono in un settore in declino.

Essa comporta l’assoluta necessità di fare degli investimenti e, soprattutto, di farli prima degli eventuali competitors.

È chiaro che è sempre meno rischioso investire in attività in lenta espansione o in declino. In questo caso, tuttavia, la raggiunta posizione dominante consentirà all’azienda di avere la leadership sui costi: ciò le permetterà di ricuperare le risorse durante la fase di declino.

La strategia di nicchia ha come obiettivo l’individuazione di un segmento del settore in declino, che possa conservare una domanda stabile o in calo molto lento, con conseguente possibilità di alti rendimenti.

Nella strategia di raccolto (la quale lascia presupporre un disinvestimento controllato) la direzione cerca di ottenere la maggior quantità possibile di cash flow dell’impresa.

Si ottiene questo effetto eliminando o riducendo drasticamente i nuovi investimenti, tagliando la manutenzione degli impianti, riducendo la pubblicità e la ricerca, raccogliendo al tempo stesso i frutti dell’avviamento passato, limitando i canali distributivi, eliminando i piccoli clienti, etc.

Va precisato che il raccolto è un’opzione rischiosa, cui fa seguito solitamente la cessione o la liquidazione dell’azienda.

Con la strategia del disinvestimento veloce, la società ritiene che vendere subito sia più redditizio che disinvestire in modo controllato (strategia del raccolto).
In alcune situazioni può essere auspicabile disinvestire addirittura prima che inizi il declino. In tal caso, tuttavia, c’è il rischio che la previsione di declino possa dimostrarsi erronea e che la società sia costretta sin da subito ad affrontare le barriere all’uscita.

Gli schemi previsionali

Gli schemi previsionali hanno differenti gradi di affidabilità, di cui bisogna essere certi. È bene che l’azienda decida sin da subito quali strategie di fine partita intraprendere.

Se un’azienda può prevedere le condizioni del settore, la scelta migliore è anticipare il declino e compiere i seguenti passi durante la fase di maturità:
minimizzare gli investimenti o le altre iniziative che innalzerebbero le barriere all’uscita (salvo che non abbiano degli evidenti vantaggi per la strategia aziendale nel suo complesso);

aumentare la flessibilità delle risorse in modo che esse siano in grado di accettare materie prime diverse o produrre degli articoli collegati;

porre l’accento strategico sui segmenti di mercato che probabilmente resisteranno, quando il settore attraverserà la fase di declino.

Tutte le strategie di fine partita portano la società all’uscita: cessione o liquidazione.

Liquidare la società

Delle quattro politiche di fine partita sopra esaminate, la politica del raccolto conduce esplicitamente alla liquidazione: l’azienda viene venduta pezzo dopo pezzo.

La liquidazione può costituire un buon risultato anche quando si intraprendono strategie di leadership o di nicchia, o quando, per scarsa programmazione, non sia stata scelta alcuna strategia di fine partita. In tal caso conviene liquidare se mancano acquirenti, cioè uomini d’affari disposti ad offrire un valore di cessione accettabile.

Naturalmente, se durante l’attuazione della strategia i dirigenti notano che non sia conveniente liquidare, va valutata l’opportunità della cessione.

Cedere l’azienda

La cessione è l’esito naturale del disinvestimento veloce ed è vantaggiosa quando il settore è ancora appetibile, soprattutto quando l’azienda è rimasta perfettamente integra dal punto di vista economico-finanziario.

La cessione non è un’azione di ripiego, ma una vera e propria strategia. Come tale richiede delle operazioni preliminari che hanno il compito di aumentare il valore corrente di mercato del sistema aziendale. Per una cessione ottimale i passi principali sono:

pianificazione finanziaria preliminare: è uno degli elementi che i potenziali acquirenti tengono maggiormente in considerazione;

Scorporamento del patrimonio e incremento dei profitti: si realizza attraverso varie operazione, fra cui:

collocazione dei beni immobili in una nuova società, posseduta al 100% dai membri della famiglia;

istituzione di una consociata, avente diritto di proprietà sui macchinari e sulle attrezzature logistiche (si possono affittare questi cespiti alla società operativa dietro pagamento di un canone);

cessione delle azioni agli eredi, quando queste sono in ribasso;

mantenimento degli stipendi e dei fringe benefits del personale direttivo, entro livelli ragionevoli;

scelta dei tempi: occorre saper scegliere il momento opportuno per vendere. Si consiglia la vendita:

quando i profitti aziendali e gli indici reddituali sono in fase di forte crescita;

quando il personale direttivo è al completo ed è esperto;

quando si prevede il declino: in tal caso la vendita deve essere tempestiva;

presentazione appropriata: deve contenere dati sufficienti per descrivere l’attività dell’impresa e per mettere a fuoco le potenzialità di profitto (la presentazione non deve permettere l’identificazione della società prima che siano vagliate le prospettive migliori);

selezione dei migliori potenziali compratori: il vaglio comporta la valutazione di una decina di acquirenti, per quel che concerne la reputazione del management, il decorso finanziario e le condizioni di credito. Una successiva scrematura porterà all’individuazione dei due migliori candidati;

trattative: stabiliti i migliori compratori potenziali si avviano le trattative, per discutere le questioni relative al prezzo, ai compensi d’intermediazioni e ai tempi, al fine di eliminare possibili motivi di dissapore fin dall’inizio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *