Particolarmente significativo è l’intervento del decreto in materia di crisi di impresa. Il T.U. stabilisce l’assoggettamento delle società a partecipazione pubblica alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, intervenendo, in tal modo, e in maniera risolutiva, nel dibattito dottrinario e giurisprudenziale sulla fallibilità delle società a partecipazione pubblica.

Salvo quanto previsto dagli artt. 2447 e 2482-ter, cod. civ., le amministrazioni partecipanti non possono effettuare aumenti di capitale, trasferimenti, aperture di credito, rilasciare pubblica garanzie a società partecipate che abbiano registrato perdite per tre esercizi consecutivi.

Sono ammessi trasferimenti straordinari alle società se contemplati in un piano di risanamento che preveda il raggiungimento dell’equilibrio finanziario in tre anni, il piano deve essere approvato dall’Autorità di regolazione di settore, se esistente, e comunicato alla Corte dei conti.

Le pubbliche amministrazioni locali partecipanti:

– se adottano la contabilità finanziaria devono accantonare in un fondo vincolato un importo pari al risultato negativo non ripianato conseguito dalla società partecipata (accantonamento in misura proporzionale alla quota di partecipazione). Per il primo triennio, 2015-2016-2017, la norma ribadisce il criterio di applicazione progressivo, parametrato al risultato medio conseguito nel triennio 2011-2013, come introdotto dalla legge n. 147/2013;

– se adottano la contabilità civilistica, in ipotesi di perdita conseguita dalla partecipata, devono procedere con l’adeguamento del valore della partecipazione all’importo corrispondente alla frazione del patrimonio netto della società partecipata, ove il risultato negativo non sia immediatamente ripianato e costituisca perdita durevole di valore.

Importantissimi spunti derivano dalla giurisprudenza comunitaria.
In materia di golden shares essa punta a ridimensionare la portata dei diritti speciali attribuiti dagli Stati m

L’articolo 6 del Decreto Legislativo introduce, in capo all’Ente Partecipato, obblighi importanti il cui assolvimento rappresenta lo strumento di controllo delle dinamiche societarie.

In materia di organizzazione e gestione delle società a controllo pubblico, il T.U. sancisce alcuni principi fondamentali come:
l’adozione di sistemi di contabilità separata in caso di svolgimento di attività economiche, protette da regimi speciali o esclusivi, insieme con altre attività svolte in regime di economia di mercato;

la predisposizione di specifici programmi di valutazione del rischio di crisi d’impresa;

la possibilità di affiancare ai regolamenti sull’organizzazione e sulla gestione organi di controllo ordinari, previsti dalla legge e dallo Statuto;
specifici regolamenti delle società a controllo pubblico organi finalizzati a rafforzarne l’efficacia.

Le società controllate danno conto dell’adozione o della mancata adozione di ulteriori strumenti di governo nell’apposita relazione annuale sul governo societario, da predisporsi a chiusura dell’esercizio e da pubblicarsi contestualmente al bilancio.

L’articolo 6 sancisce:

“1. Le società a controllo pubblico, che svolgano attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi, insieme con altre attività svolte in regime di economia di mercato, in deroga all’obbligo di separazione societaria previsto dal comma 2 -bis dell’articolo 8 della legge10 ottobre 1990, n. 287, adottano sistemi di contabilità separata per le attività oggetto di diritti speciali o esclusivi e per ciascuna attività.

2. Le società a controllo pubblico predispongono specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e ne informano l’assemblea nell’ambito della relazione di cui al comma 4.

3. Fatte salve le funzioni degli organi di controllo previsti a norma di legge e di statuto, le società a controllo pubblico valutano l’opportunità di integrare, in considerazione delle dimensioni e delle caratteristiche organizzative nonché dell’attività svolta, gli strumenti di governo societario con i seguenti:

a) regolamenti interni volti a garantire la conformità dell’attività della società alle norme di tutela della concorrenza, comprese quelle in materia di concorrenza sleale, nonché alle norme di tutela della proprietà industriale o intellettuale;

b) un ufficio di controllo interno strutturato secondo criteri di adeguatezza rispetto alla dimensione e alla complessità dell’impresa sociale, che collabora con l’organo di controllo statutario, riscontrando tempestivamente le richieste da questo provenienti, e trasmette periodicamente all’organo di controllo statutario relazioni sulla regolarità e l’efficienza della gestione;

c) codici di condotta propri, o adesione a codici di condotta collettivi aventi a oggetto la disciplina dei comportamenti imprenditoriali nei confronti di consumatori, utenti, dipendenti e collaboratori, nonché altri portatori di legittimi interessi coinvolti nell’attività della società;

d) programmi di responsabilità sociale d’impresa, in conformità alle raccomandazioni della Commissione dell’Unione europea.

4. Gli strumenti eventualmente adottati ai sensi del comma 3 sono indicati nella relazione sul governo societario che le società controllate predispongono annualmente, a chiusura dell’esercizio sociale e pubblicano contestualmente al bilancio d’esercizio.

5. Qualora le società a controllo pubblico non integrino gli strumenti di governo societario con quelli di cui al comma 3, danno conto delle ragioni all’interno della relazione di cui al comma 4.”

Il provvedimento in esame attua un coordinamento tra le diverse e numerose disposizioni che si sono succedute nel tempo, molto spesso in maniera contraddittoria e confusa, in materia di società a partecipazione pubblica, con l’intento di restituire coerenza e sistematicità all’intero sistema e con riguardo all’efficiente gestione delle partecipazioni, alla tutela e promozione della concorrenza e del mercato, nonché alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica.

In particolare, il decreto risponde alle esigenze individuate dal Parlamento ai fini del riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche, di cui all’art.18 della citata Legge n. 124/2015, attraverso i seguenti principali interventi:

l’ambito di applicazione della disciplina, con riferimento sia all’ipotesi di costituzione della società sia all’acquisto di partecipazioni in altre società a totale o parziale partecipazione pubblica, diretta o indiretta (artt. 1, 2, 23 e 26);

l’individuazione dei tipi di società e le condizioni e i limiti in cui è ammessa la partecipazione pubblica (artt. 3 e 4);

il rafforzamento degli oneri motivazionali e degli obblighi di dismissione delle partecipazioni non ammesse (artt. 5, 20 e 24);

la razionalizzazione delle disposizioni in materia di costituzione di società a partecipazione pubblica ed acquisto di partecipazioni (artt. 7 e 8), nonché di organizzazione e gestione delle partecipazioni (artt. 6, 9, 10 e 11);

l’introduzione di requisiti specifici per i componenti degli organi amministrativi (art. 11);

la definizione delle responsabilità (art. 12);

la definizione di specifiche disposizioni in materia di monitoraggio, controllo e controversie delle società partecipate (artt. 13 e 15);

l’introduzione di disposizioni specifiche in materia di crisi d’impresa, e l’assoggettamento delle società a partecipazione pubblica alle disposizioni sul fallimento, sul concordato preventivo e, ove ricorrano i presupposti, sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi1 (art. 14);

il riordino della disciplina degli affidamenti diretti di contratti pubblici per le società in house (art. 16);

l’introduzione di disposizioni specifiche in materia di società a partecipazione mista pubblico-privata (art. 17);

l’introduzione di disposizioni specifiche in materia di quotazione delle società a controllo pubblico in mercati regolamentati (art. 18);

la razionalizzazione delle disposizioni vigenti in materia di gestione del personale (art. 19 e25);

l’assoggettamento delle società partecipate agli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, stabiliti dal D. Lgs. n. 33/2013 (art. 22);

la razionalizzazione delle disposizioni finanziarie vigenti in materia di società partecipate dalle amministrazioni locali (art. 21);

l’attuazione di una ricognizione periodica delle società partecipate e l’eventuale adozione di piani di razionalizzazione (art. 20);

la revisione straordinaria delle partecipazioni detenute dalle amministrazioni pubbliche, in sede di entrata in vigore del testo unico (art. 24);

le disposizioni di coordinamento con la legislazione vigente (art. 27 e 28).

L’8 settembre 2016, in Gazzetta Ufficiale n. 210, è stato pubblicato il Decreto Legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante il “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”.

Il testo del Decreto definitivamente licenziato recepisce parte delle osservazioni espresse con propri pareri dalla Conferenza Unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, dal Consiglio di Stato, dalla Commissione bicamerale per la semplificazione e dalle Commissioni parlamentari competenti per materia, secondo quanto disposto dall’articolo 16, comma 4, della Legge n. 124 del 2015, recante le “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.

In molti casi, accade che le buone prospettive del mercato inducano l’azienda a crescere troppo in fretta, con la conseguente e pericolosa riduzione delle riserve di tesoreria.

L’esperienza mostra come le crisi di liquidità siano frequentissime e spesso conducano l’azienda verso l’insolvenza ed il dissesto. È possibile, tuttavia,

utilizzare accuratamente i dati di bilancio, prevenire e, quindi, evitare queste pericolosissime strette di liquidità.

La premessa di questa impostazione è la considerazione che la crescita e la liquidità sono due fenomeni contrapposti: un aumento della crescita significa una minor liquidità, e viceversa.

Le variazioni del rapporto fra le due variabili si possono rappresentare attraverso la cosidetta curva operativa.

Ai fini della costruzione della curva operativa, la variazione più significativa è la trasformazione delle scorte da attività finanziaria corrente in variabile di crescita. Con questa modifica, le variabili della crescita sono:

1. i beni patrimoniali;

2. gli impianti e le attrezzature (patrimonio netto);

3. le scorte;

4. le altre attività a lungo termine.

Se aumenta il totale rappresentato dalle variabili suddette, di solito le vendite e gli utili crescono. Se il totale diminuisce, le vendite e gli utili dovrebbero ridursi.

Seguendo tale impostazione, la redditività è la variazione annuale degli utili non distribuiti divisa per le vendite.

A differenza dell’utile netto (che non tiene conto dei dividendi), gli utili non distribuiti sono il dato su cui l’azienda deve realmente lavorare. Utilizzando questa definizione di redditività, si possono collegare gli utili con il tasso di crescita degli investimenti in attività fisiche.

Comunemente, la liquidità viene concepita in termini di capitale circolante, ma in questo contesto è data dal capitale circolante diminuito delle scorte e dell’indebitamento a lungo termine del capitale sociale. La cifra rimanente si può definire come liquidità operativa.

A questo punto, occorre stabilire il cambiamento delle variabili della liquidità operativa e della crescita di anno in anno. Si dividono, pertanto, queste variazioni annuali per la cifra delle vendite relativa all’anno più recente.

Le cifre percentuali così ottenute vanno riportate su un grafico, ponendo il rapporto capitale/vendite sull’asse orizzontale e il rapporto liquidità relativa/vendite su quello verticale.

Tracciando poi una retta di regressione con il sistema dei minimi quadrati, si ricava la curva operativa, riportata in figura, dove abbiamo evidenziato i punti di equilibrio operativo e la zona di gap operativo.

Il punto di equilibrio operativo è il punto in cui la curva operativa è pari a 0 lungo l’asse della liquidità; esso rappresenta il massimo tasso di crescita che si può ottenere con il finanziamento interno. A sinistra di questo punto lungo l’asse, non dovrebbe essere necessario ricorrere ad alcun finanziamento a lungo termine.

Il gap operativo è la differenza tra lo zero lungo l’asse della liquidità e la posizione attuale di un’azienda sulla curva operativa. Se tale posizione si trova al di sotto del punto di equilibrio operativo, l’azienda dovrà colmare il divario con il finanziamento esterno a lungo termine.

Una gestione attenta ed efficace da parte del management aziendale fa sì che i cambiamenti annuali delle variabili di crescita e di liquidità cadano in prossimità della curva operativa.

Quando, infatti, con tassi di sviluppo elevati, i dati di crescita e di liquidità del momento indicano un punto molto al di sotto della curva operativa stabilita, diventa facile prevedere i segnali di crisi.

Con le definizioni più comuni di liquidità, che tendono a offuscare la vera condizione del cash flow, i dirigenti troverebbero difficile, per non dire impossibile, riuscire a prevedere possibili criticità.

Quando si verifica una perdita, è necessario individuare i responsabili aziendali, per studiare i rimedi più opportuni e per valutare la convenienza dell’immissione di nuovi mezzi finanziari.

Le perdite presentano caratteristiche anche profondamente diverse fra loro a causa dei seguenti fattori:

trend storico (andamenti crescenti, decrescenti o stazionari) e successione più o meno regolare;

intensità, espressa in rapporto al fatturato o con altri indici;

struttura;

cause scatenanti (cause generali, cause di settore, cause specifiche d’azienda; cause permanenti o cause transitorie, etc.);

Per ciascun fattore, formuleremo qualche breve considerazione.

Trend storico

Non interessa tanto la perdita registrata in un dato esercizio (perché può rappresentare un fatto episodico e non significativo), quanto la sua persistenza e la sua tendenza.

La persistenza delle perdite è indice evidente di seri fattori di crisi. Se le perdite sono crescenti, così da definire una tendenza definita, è palese che i fattori di crisi siano in via di aggravamento. In tal caso, senza rapidi e radicali correttivi, l’azienda si avvia rapidamente al collasso.

Intensità della perdita

La misura della perdita non deve essere in termini assoluti, ma relativi.

Il modo più frequente di esprimere questa misurazione è il rapporto delle perdite rispetto al fatturato del medesimo periodo. In casi particolari si possono utilizzare forme diverse: perdita media per addetto, per unità di prodotto, etc.

L’intensità è un aspetto fondamentale, perché è il criterio principale per stabilire la possibilità o l’impossibilità di recuperare l’azienda.

Si possono individuare molteplici livelli di intensità delle perdite, i quali fungono da indicatori di punti di non ritorno al di là dei quali è praticamente impossibile che l’azienda possa tornare a produrre utile.

Se i livelli di perdita sono dell’1-2%, possono essere giudicati bassi; se sono compresi fra il 2 e il 5% sono giudicati gravi; se sono situati fra il 5% e il 10%, sono molto gravi e difficilmente recuperabili; oltre il 10%, la situazione è praticamente irrecuperabile.

Struttura della perdita

L’esame della perdita deve indicare se esistono margini operativi lordi, cioè se esiste un risultato economico positivo prima di ammortamenti, di oneri finanziari e di eventuali componenti straordinari negativi di reddito.

Le prime due esclusioni tendono a separare dal reddito due componenti particolari:

gli ammortamenti, poiché corrispondono a costi già sopportati e quindi in ogni caso assorbiti a prescindere dall’andamento della gestione;

gli oneri finanziari, poiché sono legati essenzialmente alla struttura finanziaria dell’azienda, cioè a fatti neutrali rispetto alla capacità di gestione.

L’esclusione delle componenti straordinarie negative di reddito è giustificata dal fatto che queste non hanno una ricorrenza ben precisa, ma si manifestano occasionalmente. Per tale ragione, non devono generare occupazione.

Una perdita contenuta nei limiti degli ammortamenti non deve essere tale da giustificare la cessazione dell’attività, poiché essa si verificherebbe comunque. A sua volta, una perdita nei limiti degli oneri finanziari si potrebbe eliminare, sostituendo i mezzi di terzi con mezzi propri.

L’analisi della struttura della perdita deve passare anche attraverso uno studio della sua struttura finanziaria, o meglio della sua traduzione in termini di flussi di cassa.

Al netto delle classiche voci di autofinanziamento (ammortamenti e accantonamenti vari), le perdite si traducono qualche volta in flussi di cassa positivi, mentre altre volte permangono flussi negativi. In ognuno dei due casi, la situazione aziendale è evidentemente ben diversa.

In alcuni casi, gli effetti delle perdite possono essere mascherati con opportune operazioni di maquillage; in altri casi, invece, possono risultare gonfiati.

Ad esempio, perdite originate da un forte peso degli oneri finanziari possono essere state scatenate da fattori inflazionistici. In altre parole, gli oneri finanziari costituiscono in buona parte un compenso per la svalutazione monetaria del capitale assunto a prestito.

Cause determinanti
Le cause all’origine delle perdite sono indirettamente le cause che hanno generato la crisi. Rinviamo dunque il lettore alla lettura del paragrafo 3.2.

Dopo l’analisi delle perdite, l’azienda deve scegliere con determinazione cosa fare: se tentare il risanamento, se liquidare o cedere.

Per riportare l’azienda in linea di galleggiamento, lo strumento è il piano di risanamento, che prevede la redazione di un progetto con una serie di politiche e di strategie ritenute capaci di risolvere in modo positivo la situazione aziendale.

Per decidere occorre mettere in evidenza il relativo fabbisogno finanziario, i risultati economici attesi e i tempi di realizzazione. Il valore del fabbisogno finanziario scaturisce dalla somma del fabbisogno necessario per l’applicazione del piano e il fabbisogno necessario a sopportare altri periodi di perdite.
Il giudizio positivo riguardo al fabbisogno porta alla ricerca di nuovi mezzi finanziari e all’applicazione del progetto. Un parere negativo, invece, porta alla decisione di liquidare o cedere l’azienda, prima che sia troppo tardi.

La rapidità con cui si prende una decisione è di fondamentale importanza: come scrive il Coda, qui entra in gioco la «responsabilità e la solidità del soggetto economico».

Per prima cosa, la responsabilità si riferisce al fatto che il soggetto economico deve essere pronto a compiere scelte drastiche e dolorose, lasciando da parte l’emotività. Chiudere un’attività non è un disonore, ma una strategia che, se ben gestita, può portare ottimi risultati.

Per secondo, la responsabilità si riferisce anche alla capacità del soggetto economico di coinvolgere i propri collaboratori nella realizzazione del piano.

L’esperienza dimostra che piani di risanamento perfettamente organizzati sono falliti clamorosamente a causa della scarsa convinzione degli operatori aziendali.
Per risvegliare l’entusiasmo delle risorse, spesso si decide l’inserimento di nuovi manager in punti strategici della struttura aziendale.

La solidità del soggetto corrisponde alla sua solidità economica: se non ha sperperato la ricchezza che l’azienda gli ha concesso nei periodi di espansione, sarà perfettamente in grado di riversare nell’impresa i mezzi necessari alla tutela dell’integrità del capitale.

I principali obiettivi del piano di risanamento sono:

ristabilire l’equilibrio economico dell’azienda;

riequilibrare la struttura patrimoniale e finanziaria.

Le perdite causano sempre il disfacimento delle risorse finanziarie; perciò, per risanare l’azienda, occorrerà ricostituire la struttura iniziale. Gli interventi avranno una diversa consistenza a seconda dei casi, ma tenderanno tutti ad un triplice obiettivo:

ristabilire l’equilibrio patrimoniale, cioè l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto alle dimensioni aziendali rappresentate dal totale degli investimenti, dal totale dei debiti e dal giro d’affari;

ristabilire le appropriate relazioni tra le grandi categorie di investimenti e di fonti finanziarie: da un lato, gli investimenti duraturi più gli investimenti a rapido rigiro (scorte e crediti); dall’altro, capitale proprio, debiti a medio-lungo termine e debiti che si rinnovano per rotazione;

ristabilire una idonea dotazione di liquidità, rappresentata sia dai mezzi liquidi che dalla disponibilità di affidamenti.

Nelle aziende in difficoltà, correggere gli squilibri patrimoniali e finanziari è tutt’altro che facile.

Il ricorso al capitale proprio, attraverso nuove sottoscrizioni, è praticamente impossibile, se non è accompagnato dalla contemporanea cessione del capitale di controllo.

Le stesse considerazioni vanno fatte circa la possibilità di accendere un prestito obbligazionario o dei finanziamenti a medio-lungo termine.

Con il susseguirsi delle perdite, l’azienda cessa di essere ritenuta affidabile da terzi e dagli istituti di credito.

I pochi casi in cui aziende in perdita riescono ad ottenere affidamenti sono caratterizzati da condizioni di credito fortemente sfavorevoli, che impongono la ricerca di altri mezzi di finanziamento. I principali rimedi sono:

ristrutturare il debito attraverso l’allungamento delle scadenze o stralciare il debito attraverso gli istituti giuridici di gestione della crisi (Piano attestato, Concordato preventivo, etc.);

disinvestire le immobilizzazioni o le partecipazioni che non siano giudicate essenziali per l’attività aziendale e per lo sviluppo futuro dell’impresa;

ridimensionare i settori ed i prodotti in perdita, oppure contenere i volumi di attività;

cedere a terzi la gestione di una parte delle attività redditizie, delle quali si continua a mantenere il controllo.

Dopo l’analisi delle perdite, l’azienda deve scegliere con determinazione cosa fare: se tentare il risanamento, se liquidare o cedere.

Per riportare l’azienda in linea di galleggiamento, lo strumento è il piano di risanamento, che prevede la redazione di un progetto con una serie di politiche e di strategie ritenute capaci di risolvere in modo positivo la situazione aziendale.

Per decidere occorre mettere in evidenza il relativo fabbisogno finanziario, i risultati economici attesi e i tempi di realizzazione. Il valore del fabbisogno finanziario scaturisce dalla somma del fabbisogno necessario per l’applicazione del piano e il fabbisogno necessario a sopportare altri periodi di perdite.

Il giudizio positivo riguardo al fabbisogno porta alla ricerca di nuovi mezzi finanziari e all’applicazione del progetto. Un parere negativo, invece, porta alla decisione di liquidare o cedere l’azienda, prima che sia troppo tardi.

La rapidità con cui si prende una decisione è di fondamentale importanza: come scrive il Coda, qui entra in gioco la «responsabilità e la solidità del soggetto economico».

Per prima cosa, la responsabilità si riferisce al fatto che il soggetto economico deve essere pronto a compiere scelte drastiche e dolorose, lasciando da parte l’emotività. Chiudere un’attività non è un disonore, ma una strategia che, se ben gestita, può portare ottimi risultati.

Per secondo, la responsabilità si riferisce anche alla capacità del soggetto economico di coinvolgere i propri collaboratori nella realizzazione del piano.

L’esperienza dimostra che piani di risanamento perfettamente organizzati sono falliti clamorosamente a causa della scarsa convinzione degli operatori aziendali.

Per risvegliare l’entusiasmo delle risorse, spesso si decide l’inserimento di nuovi manager in punti strategici della struttura aziendale.

La solidità del soggetto corrisponde alla sua solidità economica: se non ha sperperato la ricchezza che l’azienda gli ha concesso nei periodi di espansione, sarà perfettamente in grado di riversare nell’impresa i mezzi necessari alla tutela dell’integrità del capitale.

Con il termine turnaround (letteralmente inversione), si intende il recupero dalla perdita all’utile di esercizio.

Il turnaround comprende tutti quei provvedimenti gestionali finalizzati alla ristrutturazione finanziaria, patrimoniale ed economica di un’azienda in crisi, attraverso un appropriato piano di risanamento.

In concreto si tratta di disporre adeguate strategie per migliorare l’efficienza produttiva, per razionalizzare i costi, per perfezionare l’organizzazione delle risorse umane, per ristrutturare i debiti, per potenziare lo sviluppo e la ricerca, per rilanciare le vendite attraverso un adeguato piano di marketing e web marketing.Insomma, lo scopo del turnaround è potenziare e perfezionare l’azienda nella sua globalità.

Il turnaround è la condizione necessaria di tutti i risanamenti aziendali.

La crisi non è un processo istantaneo, ma segue una precisa evoluzione come abbiamo visto nel capitolo precedente.

Se la perdita diventa cronica, la crisi degenera nell’insolvenza e i suoi effetti si riflettono all’esterno dell’azienda: l’azienda può essere sottoposta al giudizio dell’autorità giudiziaria, che stabilisce quale debba essere il suo futuro.

Generalmente si ritiene che il turnaround possa essere messo in atto solo durante il primo stadio, quando le perdite non sono croniche. In realtà, il turnaround può e deve essere messo in atto anche in caso di eventuale intervento dell’autorità giudiziaria.

Il ricorso agli istituti giuridici (Piano attestato ex Art. 67, Accordo di Ristrutturazione dei Debiti ex Art. 186-bis) non è affatto un impedimento all’attuazione del piano di risanamento. Al contrario, qualora l’adozione di un istituto giuridico avesse messo ordine nella restituzione dei debiti e delle imposte, è necessaria una strategia in grado di rilanciare l’azienda. Se, infatti, dopo l’intervento giudiziario e la ristrutturazione finanziaria le perdite continuassero, ci si ritroverebbe punto a capo!

Il turnaround, dunque, è una manovra fondamentale, se si vuole uscire dalla crisi. Non ci sono altre strade.

L’attuazione del turnaround avviene attraverso il piano di risanamento aziendale, che sarà oggetto della trattazione nelle prossime pagine: prima analizzeremo la perdita e la decisione di intervento, poi descriveremo dettagliatamente tutti i fattori da tenere presenti nella redazione del piano, compresa la convenienza o no a metterlo in atto.