Le cause di crisi

A) Le crisi da inefficienza

Si ha crisi d’inefficienza quando uno o più settori dell’azienda operano con rendimenti inferiori a quelli dei concorrenti.

Le inefficienze riguardano:

l’area produttiva;

l’area commerciale;

l’area amministrativa;

l’area organizzativa;

l’area finanziaria.

1) L’inefficienza dell’area produttiva si determina con un livello dei costi superiore alla media del settore, dovuto a: disponibilità di strumenti produttivi in tutto o in parte obsoleti, scarsa produttività della manodopera, utilizzo di tecnologie obsolete, infelice dislocazione degli impianti, etc.

Poiché l’efficienza aziendale si valuta attraverso il raffronto con le imprese concorrenti, è necessario disporre di attendibili informazioni su di esse.

Purtroppo nella maggiore parte dei casi informazioni esaustive non sono disponibili: diventa allora impossibile percepire piccoli dislivelli d’inefficienza.

2) L’inefficienza commerciale è determinata in generale dall’esistenza di una sproporzione tra i costi di marketing o web marketing e i risultati da questo generati.

Ad esempio, se le attività di marketing non sono condotte adeguatamente, generano risultati inadeguati (in termini di comunicazione del prodotto, numero di nuovi contatti, numero di preventivi, volumi di vendita, sostegno dei prezzi, etc.).

In proposito, alcuni dei casi più frequenti sono:

campagne di marketing e web marketing condotte con mezzi sufficienti ma con scelte errate attorno alla differenziazione del prodotto e alla generazione di stimoli all’acquisto: tutti conoscono il prodotto, ma pochi lo acquistano;

campagne di marketing e web marketing condotte con mezzi inadeguati, le quali non raggiungono la soglia dell’equilibrio tra costi e risultati;

campagne di marketing e web marketing condotte in maniera disordinata, senza una pianificazione e spesso senza l’ausilio di personale qualificato.

Analogamente, anche una rete di vendita è inefficiente quando si verifica un’eccessiva incidenza dei costi di vendita sul fatturato e una limitata dimensione del venduto. La rete di vendita può essere mal organizzata o troppo onerosa, come nei casi di creazioni di reti di vendita diretta all’estero.

Nell’ambito dei costi commerciali i giudizi di efficienza sono molto complessi e difficilmente traducibili in misurazioni: ancora una volta, è il confronto con le altre aziende del settore e dei settori affini a dare una percezione verosimile dell’inefficienza.

Solo in situazioni di pesante inefficienza, rivelata da palesi errori del management, la stima può essere certa e univoco.

3) Nell’area amministrativa le principali situazioni d’inefficienza sono le seguenti:

eccessi di burocratizzazione, cioè procedure amministrative troppo laboriose e complesse che generano costi sproporzionati rispetto ai risultati;

gravi carenze del sistema informativo, che non consentono di disporre tempestivamente dei dati indispensabili per la conduzione dell’azienda.

Esempi classici di tale inefficienza sono: ritardi ed errori nelle operazioni di fatturazione, inefficiente gestione dei crediti verso la clientela, inadeguatezza dei controlli sugli acquisti, etc.

4) Nell’area organizzativa, la principali cause d’inefficienza sono:

la mancanza di mezzi che consentano la programmazione a breve termine, come il budget annuale;

l’assenza di una programmazione a medio-lungo termine che permette all’imprenditore di affrontare più serenamente il futuro con decisioni di più ampio respiro;

la mancanza di un organigramma chiaro che definisce i ruoli sia in vista della produzione sia in vista del raggiungimento degli obiettivi aziendali;

le carenze a livello dell’organizzazione del lavoro produttivo, del lavoro degli uffici, della manutenzione degli impianti, degli acquisti.

A volte è la struttura aziendale nel suo complesso a determinare disfunzioni e inefficienze.

A tale proposito val la pena citare l’esperienza di un rilevante gruppo editoriale italiano che, in un ampio processo di esame delle proprie strutture, rimase a metà strada tra l’organizzazione “per divisioni” in un’unica società (libri, giornali, periodici, film, televisione e pubblicità) e la distribuzione delle attività svolte in testa a numerose società.

La coesistenza per lunghi periodi di entità organizzative contraddittorie è causa di gravi inefficienze operative e strategiche.

5) Nell’area finanziaria, le condizioni d’inefficienza sono rivelate sostanzialmente da costi più elevati rispetto alla concorrenza e dalla scarsità dei mezzi a disposizione.

In realtà, bisogna distinguere due concause all’origine di tali fenomeni:

la debolezza contrattuale dell’azienda;

l’incapacità degli addetti alla funzione finanziaria.

È evidente che un’azienda con deboli strutture patrimoniali e finanziarie e con modesti risultati sia costituzionalmente in una posizione d’inferiorità durante le trattative per l’ottenimento del credito. Alcune fonti di finanziamento possono addirittura essere loro precluse per lunghi periodi di tempo, come ad esempio l’aumento di capitale. Per molti imprenditori ciò significa l’impossibilità di trattare le condizioni contrattuali dei prestiti.

Tale condizione costituisce un’inefficienza, seppure non sempre rilevabile, in quanto mascherata dalle difficoltà dell’azienda.

B) Le crisi da sovraccapacità

Le crisi da sovraccapacità (o rigidità) traggono origine da una delle seguenti situazioni:
duratura riduzione del volume della domanda per l’azienda (con conseguente riduzione reale dei ricavi), originata da fenomeni di sovraccapacità produttiva a livello dell’intero settore;
duratura riduzione della domanda per l’azienda, connessa alla perdita di quota di mercato;

sviluppo dei ricavi inferiore alle attese a fronte d’investimenti fissi precostituiti per maggiori dimensioni;

un particolare caso di rigidità, peraltro non connesso a situazione di sovraccapacità, si ha per aumenti di costi non controbilanciati da variazioni dei prezzi soggetti a controlli pubblici.

1) La sovraccapacità connessa alla riduzione dei volumi della domanda può originarsi nei seguenti casi:

ricerca di economie di scala o accrescimento delle cosiddette dimensioni minime efficienti, cioè delle dimensioni al di sotto delle quali i costi di produzione non sono concorrenziali;

caduta della domanda globale determinata da nuove correnti d’importazione e collegata al mutamento dei gusti dei consumatori;

errori di previsione della domanda;

esistenza di elevate barriere all’uscita (difficoltà per le imprese marginali di abbandonare il settore senza subire rilevanti perdite);

politiche manageriali sproporzionatamente rivolte alla produzione piuttosto che al mercato.

A tale situazione, le aziende più forti reagiscono accrescendo la propria quota di mercato; le aziende più deboli, al contrario, sono danneggiate, perché vedono ridursi sia la domanda globale sia la quota di mercato.
Se l’azienda caratterizzata da sovraccapacità non riesce rapidamente ad adattare i propri costi al mutato livello dei ricavi, nasce una pesante condizione di crisi.

Le principali categorie di costi dove è più difficile l’adattamento sono i costi fissi ed i costi della manodopera.

I costi fissi si dividono in due categorie:

costi generati dalle immobilizzazioni tecniche (ammortamenti, oneri finanziari, manutenzioni);

costi della cosiddetta “struttura aziendale” (costi della direzione generale, dell’apparato societario, dei servizi centrali, della direzione e dei servizi di fabbrica, della ricerca, delle reti distributive dirette e così via).

Per quanto concerne i costi degli impianti, data la loro natura tipicamente fissa, il processo di adattamento per fronteggiare la domanda può essere effettuato in un solo modo, cioè ricorrendo a produzioni alternative. Se queste non sono possibili, non sarà possibile l’adattamento nel breve periodo.

Per ridurre i costi di struttura è possibile tagliare i compartimenti diventati inutili, come l’ufficio acquisti, l’ufficio contabilità clienti e fornitori, gli uffici di controllo della rete di vendita, le segreterie, etc.

Come è facile constatare, l’intervento sui costi degli impianti e sui costi della struttura non è risolutivo; di conseguenza, nei settori con più alti investimenti fissi e con maggiore complessità organizzativa, i rischi di crisi da sovraccapacità sono notevolmente più elevati.
Sarà necessario, pertanto, adottare delle misure più efficaci, anche se più onerose, per controllare le quote di mercato. Una soluzione può essere la ricerca di collegamenti stabili con le clientela attraverso il web marketing e le reti di vendita diretta.

Molto più complesso è il discorso attorno all’adattamento del costo fisso della manodopera. Proprio su questo punto, molto spesso si decidono le sorti delle aziende.

Il problema è complesso, perché oltre agli aspetti economici si deve tener conto degli aspetti socio-politici, che rendono le operazioni di adattamento lunghe, elaborate e con scarse possibilità di raggiungere completamente gli obiettivi.

Se l’azienda non riesce a fronteggiare efficacemente la caduta della domanda, rischia di avviarsi rapidamente verso la fase di perdita.

2)In relazione alla perdita di quota di mercato, la sovraccapacità non riguarda l’intero settore, ma unicamente l’impresa colpita.

Le difficoltà appaiono più gravi, poiché connesse a un’inefficienza intrinseca all’azienda. L’unico modo per evitare la crisi è un sollecito processo di adeguamento dei costi, che trova spesso la resistenza delle risorse umane, mal disposte ad ammettere la necessità di dolorosi tagli all’occupazione: il personale aziendale comprende a fatica che le difficoltà riguardano solo l’azienda e non l’intero settore.

Senza provvedimenti rapidi, tali situazioni sfociano facilmente nel dissesto.

3) La rigidità causata da volumi di ricavi inferiori alle attese può avere uno dei seguenti sviluppi:
• il mancato o insufficiente aumento della quota di mercato rispetto alle previsioni: ciò avviene quando l’azienda, ipotizzando un aumento della domanda globale con relativa possibilità di incrementare la propria quota di mercato, crea nuove capacità produttive, ma viene battuta dalla concorrenza o dall’insufficienza dei mezzi adottati;

• l’errata previsione di sviluppo della domanda globale a parità di quote di mercato: una volta che nell’azienda si è verificata una sovraccapacità, non rimane che attendere che il naturale sviluppo della domanda riassorba l’eccesso di capacità, subendo pro tempore le perdite connesse alla situazione;

• tentare politiche di mercato aggressive, tese al miglioramento a breve termine della quota di mercato.

La scelta della strada migliore nasce dal confronto tra le perdite attese, i costi ed i rischi. Presa una decisione, si devono effettuare i necessari processi di adattamento dei costi.

Poiché l’aumento della capacità produttiva può condurre all’assunzione di nuova manodopera, è bene attendere, almeno nei sintomi, il verificarsi degli sviluppi attesi, prima di adeguare la struttura e l’organigramma al fabbisogno previsto.

4) L’aumento dei costi non controbilanciato da corrispondenti variazioni dei prezzi soggetti a controllo pubblico è un fenomeno tipico dei periodi d’inflazione, quando i costi si muovono velocemente al rialzo, mentre l’adattamento dei prezzi avviene con ritardo o avviene solo parzialmente.

C) Le crisi da decadimento dei prodotti
Le crisi da decadimento dei prodotti traggono origine dalla riduzione dei margini: in tal caso si assiste ad un’erosione dell’utile, imputabile alla necessità di coprire i costi fissi.

Due sono gli strumenti operativi che consentono di misurare la redditività di un prodotto (ambedue le soluzioni mettono a raffronto il prezzo medio di vendita di un dato prodotto con il costo medio):

• il margine lordo, che fa riferimento ad un costo di prodotto, calcolato escludendo determinate categorie di costi comuni, cioè di costi non agevolmente imputabili al singolo prodotto. Sono sempre esclusi i costi comuni amministrativi, commerciali e finanziari, mentre possono essere compresi o esclusi, a seconda dei casi, costi comuni industriali. Quando questi ultimi sono compresi nel calcolo del costo medio, si parla più precisamente di margine lordo industriale.
• il margine di contribuzione, che fa riferimento ad una figura di costo, calcolata escludendo i costi fissi.

Nelle fasi negative le aziende possono vedere i loro margini erosi fino al punto di subire perdite più o meno rilevanti.
Se la dimensione della perdita supera le capacità di resistenza dell’impresa, si apre un situazione di insolvenza-dissesto connessa al ciclo vitale del prodotto.

Quando il prodotto è maturo, il regresso dei margini è naturale; quando il prodotto è in decadenza, i margini possono diventare insufficienti o addirittura negativi.

Il decadimento dei prodotti può talvolta essere legato all’affermarsi di massicce correnti d’importazione, favorite da condizioni vantaggiose come l’impiego di manodopera a basso costo o la disponibilità di materia prima in loco.

Il discorso sulla dinamica dei margini va completato in un duplice senso:
– considerando complessivamente il “portafoglio dei prodotti” di una certa azienda;
– analizzando i differenti margini a livello delle varie marche di uno stesso prodotto.

Riguardo al primo aspetto, va distinto il caso dell’azienda mono-prodotto, che presenta una condizione di rischio elevato, poiché non vi sono possibilità di compensare in alcun modo le fluttuazioni dei margini.

Nelle aziende pluri-prodotto, viceversa, la riduzione dei margini di uno o più prodotti può essere parzialmente compensata dal miglior andamento dei prodotti restanti.

I rischi possono essere ancor di più attenuati operando su prodotti destinati a diversi mercati: in tal modo risulta improbabile che fluttuazioni negative dei margini si producano contemporaneamente in tutti i mercati.

Per le aziende mono-prodotto diversificare i mercati è l’unica strategia possibile per attenuare il rischio.

Fino a questo punto l’analisi ha fatto riferimento ad un prodotto omogeneo, venduto allo stesso prezzo da tutte le aziende. Spesso, però, le politiche aziendali di differenziazione mirano a distinguere il proprio prodotto da quello dei concorrenti.

Il caso classico è la distinzione mediante un marchio.

Prodotti simili di vari marchi presentano spesso prezzi diversi e, poiché i costi sopportati per la differenziazione non sono necessariamente corrispondenti ai divari di prezzo, essi presentano non di rado anche diversi margini.

Il margine diventa il criterio per giudicare i vari marchi: più il margine è elevato più un marchio è pregiato.

Tale condizione è strettamente collegata al grado di affermazione ottenuto dal marchio, al prestigio ottenuto, alla qualità garantita.

Accade così che le oscillazioni dei margini colpiscono diversamente i vari marchi. Se i margini si contraggono proporzionalmente, le aziende con margini inferiori subiscono danni maggiori.

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